Mafia Crimes - Forum Anti-Mafia

Cosenza, l'ex 'ndranghetista pentito vuole diventare... diacono La storia di conversione di Luciano Impieri l’ex ’ndranghetista di Cosenza che ha ripudiato la subcultura mafiosa in nome della fede

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    Il desiderio di diventare diacono. Coltivato da un ex malavitoso che ha deciso di cambiare vita, sfidando il passato. Un passato fatto di minacce, violenze e prevaricazioni, trascorso schivando manette e pallottole.
    Luciano Impieri ha speso una parte della sua vita al servizio di mamma ‘ndrangheta finendo ingoiato dal gorgo invisibile della subcultura mafiosa. La sua “educazione criminale” ne aveva fatto uno degli astri nascenti delle cosche bruzie. Teneva la bocca chiusa, eseguiva gli ordini, imponeva il “pizzo”, ritirava le “mazzette”, custodiva il denaro annotando come una novello amanuense le “entrate” e le “uscite” su una piccola agenda. Di più: Luciano aveva pure dimostrato d’essere capace di reggere l’impatto con la vita carceraria: un “talento” che in certi ambienti può valere addirittura una “promozione”. Michele Di Puppo, personaggio di spicco della criminalità organizzata cosentina - almeno secondo la Dda di Catanzaro - aveva fatto sapere in giro che Impieri meritava di ricevere un’altra “dote” di ‘ndrangheta, la cosiddetta “terza”, cioè lo “sgarro”.
    L’essere un membro effettivo della “Nuova famiglia”, del cosiddetto clan “Rango-Zingari”, aveva reso il picciotto con la faccia da adolescente un uomo ricco e temuto. Impieri aveva trattato estorsioni, partecipato ad assalti a furgoni blindati portavalori in Puglia e preso parte a un tentato omicidio senza mai sbagliare sia nel fare che nel parlare. Il suo sembrava dunque un futuro da uomo di primo piano nella galassia mafiosa attiva tra i fiumi Crati e Busento. Poi, però, qualcosa s’è rotta e le fittizie certezze assicurate dalla vita “maledetta” sono andate d’improvviso in cortocircuito. Gli arresti di vari “compari”, le “tragedie” ordite all’interno del gruppo, la spasmodica collettiva ricerca del guadagno attraverso il traffico di droga, la sempre crescente certezza d’essere finito in un mondo senza reali valori e la nascita dei figli, l’hanno spinto a chiudere con tutta quella gente; con i riti, i simbolismi e i falsi miti di cui si sentiva impregnato. E così, nel marzo del 2018, ha deciso di collaborare con la giustizia. È stata una scelta di campo netta, compiuta senza reticenze.
    Impieri non era detenuto e non cercava, dunque, di “evadere” da un carcere, ma anelava alla libertà - quella vera - che ti consente di poter costruire una vita “normale” contando sulla famiglia e la prole.
    L’orologio preso a martellate Ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che l’ascolteranno, dirà a muso duro: «Questa vita mi fa schifo e la schifezza me la sento dentro. Quando ho iniziato a sentire questo disagio ho pensato anche alla mia famiglia, ai miei figli a cui voglio dare un futuro diverso dal mio». Luciano Impieri comincerà la sua seconda esistenza privo di tentennamenti: sarà sottoposto a tanti interrogatori e poi chiamato a deporre in molti processi di ‘ndrangheta. «La rottura con la criminalità sarà pure simbolica» spiega il suo avvocato, Caterina De Luca, del foro di Vibo Valentia, «perchè romperà a martellate l’orologio d’oro che aveva acquistato con i proventi del malaffare e taglierà dalle eleganti camicie chiuse in guardaroba le iniziali del suo nome. Il cronografo e le iniziali rappresentavano infatti plasticamente una vita che non gli apparteneva più».

    Gazzetta del Sud 26/04/2024 :ph34r:
     
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